MotoGp, il commento. Quando la Missione impossibile è anche truccata

La Missione impossibile era anche truccata. E allora neanche Tom Cruise al cinema avrebbe potuto farcela. Perché cos’altro avrebbe dovuto far di più, uno come Valentino Rossi che è partito ultimo ed è arrivato quarto dopo averne superati 23 in appena 12 giri? Sì, avrebbe potuto volare e raggiungere anche gli altri tre o almeno due degli altri tre che erano dieci secondi più avanti, con le gomme ormai consunte e una moto a quel punto instabile? Impensabile e anche inutile, perché Marc Marquez che era là davanti per proteggere la fuga di Jorge Lorenzo magari avrebbe improvvisamente cominciato a fare il fenomeno a senso unico, esattamente come due settimane prima a Sepang e ancora prima a Phillip Island.

E allora, cosa dobbiamo dire? Che è morto il motociclismo, che lo sport in queste condizioni sta proprio male, che decine di milioni di persone incollate al televisore potevano anche evitare di spalmarsi sul divano e i 110.120 del Ricardo Tormo di andar fin là.
Sì, perché alla fine più che un giro d’onore è stato un giro del disonore, non tanto per il vincitore Jorge Lorenzo, strepitoso in pista e un po’ meno fuori. Nulla da dire sulle sue qualità, ha vinto sette Gran premi e il suo Mondiale in pista l’ha giocato pulito o almeno ha fatto in modo che apparisse così. Altra cosa sono le dichiarazioni del dopo, le scuse banali per le visiere dei caschi appannati e l’invocazione di punizioni più severe per il compagno di squadra. Ma queste non portano punti. Al massimo fan capire di che pasta sei fatto.
Il disonore è tutto per un ragazzino viziato che, dopo due titoli al debutto, studia da leggenda e non ha ancora capito che non possono bastare mille vittorie per fare di un campione un mito e, prima ancora, un uomo. Quelli che fanno così al massimo possono essere mezzi uomini, ominicchi o quaquaraquà.
Peccato. Era un grande giorno da vivere sperando di crederci. E alla fine è stata una farsa o forse anche peggio. Con un pilota, Marquez appunto, che fa il pretoriano sciocco per quello di una squadra rivale e lo scorta fino al trionfo, che arriva a farsi segnalare sulla tabella del muretto non solo il ritardo da chi sta dietro ma da chi sta dietro ancora, perché vuol esser certo che non faccia come Superman e viaggi più veloce della luce. E che a un certo punto rischia di buttar fuori il compagno di team, Dani Pedrosa, che stava rinvenendo nel finale. Troppo rischioso, magari andava a vincere e poteva rovinar tutto.
No, lo sport dovrebbe far rima con lealtà. Sì, in tutte le discipline c’è fiero agonismo, forza, ruvidità ma non può esserci spazio per la disonestà. Ciò che si è visto ieri non ha niente a che fare con i valori di una sana competizione. Chi guarda non è scemo e capisce. E così si spiegano i baci e gli abbracci fra tanti tifosi dai colori diversi, per fortuna la parte migliore di questo tristissimo show. Certo, poi sui social è tutto un dilagare di offese alle mamme dei piloti ma questo è un altro discorso, lì il peggio ha quasi sempre il sopravvento.
Qui, invece, alla fine, a bordo pista e nel paddock si sono viste due scene diverse. Quella di un corridoio umano che attende l’arrivo del pilota sconfitto in pista e vincitore nei cuori di tutti quelli che amano lo sport. Qui ci sono applausi, qualche lacrima e una coscienza pulita, macchiata da un errore grave come il fallo di reazione di Sepang. Fallo pagato a caro prezzo come si conviene nello sport e nella vita.
Poco più in là, i fischi per Marquez, e anche in parte per Lorenzo, sono il contraltare di una scena inaccettabile per chi ama il gioco pulito. A Rossi hanno tolto il decimo Mondiale ma non la stima, l’ammirazione degli sportivi. Degli altri, che dire? Le scuse di Marc sembrano quelle di un bambino scoperto dalla maestra a copiare un compito in classe, improvvisamente balbettante nell’imbastire una giustificazione da barzelletta. Lo stesso Lorenzo ha dovuto ammettere che forse si è trattato di una forma di “rispetto” fra spagnoli. E se anche fosse solo questo non è che ci sarebbe molto da esser lieti.
Non solo hanno impedito una sfida leale, hanno fatto di peggio: hanno ucciso i sogni, la passione che dovrebbe albergare nei cuori di tutti quelli che amano lo sport. E dopo un delitto così nulla, purtroppo, potrà più esser come prima. *FONTE IL WEB

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